Storia

Da Roma Antica all’Ottocento: le fognature di Milano

Funziona incessantemente, giorno e notte; e per fortuna possiamo aggiungere, o le conseguenze sarebbero catastrofiche: ma a quanto pare, solo quando arriva il tempo degli spurghi Milanosi accorge, o si rammenta, della propria imponente rete fognaria e di quanto sia importante per il suo benessere. Benché non sia di certo un argomento alla moda, o per certi versi neppure gradevole, per chi vuole conoscere la storia della città e il suo progresso è un punto importante: dopotutto, a far grande una città non sono soltanto palazzi e monumenti, ma anche il grado di salute dei suoi cittadini, e le fogne hanno un ruolo fondamentale nel garantirlo. Proviamo quindi a ripercorrere gli eventi salienti della storia del sistema fognario di Milano, identificandone tre periodi, ossia l’epoca Romana, il Medioevo e il Rinascimento, e l’Ottocento.

1) L’epoca Romana

Mediolanum, come si chiamava all’epoca, era una città di probabili origini celtiche, che plausibilmente, per la sua posizione ottimale, doveva risultare molto promettente agli antichi Romani – tant’è che la conquistarono in modo definitivo nel 200 AC. Prontamente iniziarono ad apportare alla nuova conquista quelle opere di ingegneria idraulica e bonifica del terreno che avevano apportato già quattrocento anni prima intorno a Roma: e costituirono una funzionale rete fognaria, basata su piccoli canali di scolo nelle vie della città, nei quali si incanalavano le acque per poi scorrere fino ad un unico grande collettore che le raccoglieva e le portava fuori dalle mura. A Roma, questa era la Cloaca Maxima, e sfociava nel Tevere; a Mediolanum la destinazione era con buona probabilità, a valutare dalle ricostruzioni idrografiche svolte all’inizio del ‘900, il Lambro Meridionale, o come veniva chiamato “Lambro Merdario”. Alla caduta dell’Impero Romano, come successe un po’ dovunque, anche questi impianti e opere vennero lasciati andare in rovina e decaddero interamente.

2) Il Medioevo e il Rinascimento

Fu solo a cavallo fra il Medioevo e il Rinascimento che si manifestò con forza un nuovo zelo nella costruzione di canali fognari; sfortunatamente va però rilevato che a tanto fervore non corrispondeva altrettanta maestria. Le fognature venivano costruite in maniera per nulla organica, rispondendo alle esigenze di singole strade, senza alcuna direzione generale, per poi andare a versarsi nei canali un tempo scavati a difesa della città, come il Seveso. Va inoltre detto che tali fognature avevano lo scopo di indirizzare la sola acqua naturale, come quella piovana: per le deiezioni e le acque nere vigeva la regola dell’accumulo nei pozzi neri, vicino alle case, per poi effettuarne lo svuotamento ciclico e lo smaltimento in campagna. Le leggi purtroppo non svolgevano un buon lavoro di difesa della salute dei cittadini e dell’igiene, se pensiamo che vennero lasciate pressochè identiche, nonostante l’evidente moltiplicarsi delle esigenze della città, dal 1300 al 1700. Le raccomandazioni si limitavano al divieto di svuotare e movimentare il contenuto dei pozzi neri nei mesi estivi; i Navazzari che conducevano la navi-botte che si occupavano di tale lavoro portavano poi i liquami all’esterno, nelle campagne, dove era recuperato per essere usato come concime.

3) l’Ottocento

La necessaria innovazione delle strade, e con esse dei tombini e dunque delle fogne, non arrivò che nel 1807, a seguito di due decreti del Regio Governo Italico. Sfortunatamente, al confluire in tali canali, ancora concepiti per il drenaggio del solo scolo stradale, anche delle acque nere, le condizioni generali non migliorarono minimamente, soprattutto per il susseguente abbandono dei vecchi canali, anche se funzionanti, in favore di quelli nuovi, che erano ispezionabili solo rompendo il manto stradale e spesso tendevano ad ostruirsi e determinare allagamenti.

Nondimeno, ancora per lungo tempo, la situazione rimase precaria: il grosso della città (che nei primi anni dell’800 era ancora piuttosto piccola) scaricava le sue acque nere nel Seveso e nel Naviglio, da cui poi fluiva verso le marcite del sud della città; le aree comprese fra il Naviglio interno e i Bastioni, composte in sostanza di orti e di giardini, scaricavano invece nei canali irrigui. Provvisorio e mal risolto, il problema rimase così a lungo una macchia sulla città, che non trovava le ragioni di affrontarlo in modo sistematico.

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